Vinicio Capossela mi ha chiesto di scrivere una breve nota di presentazione da usare nei comunicati stampa per il cd della Banda della Posta, Primo Ballo, da lui prodotto. Vuole essere una piccola introduzione alla musica della Banda, e infatti così la abbiamo chiamata. Eccola:

Un repertorio di musiche da ballo nate a diverse latitudini negli anni ’20 e ’30 e arrivate in qualche modo in un piccolo paese di montagna irpino: forse la radio, i primi dischi, qualche emigrante di ritorno. Un gruppo di musicanti le impara e negli anni ’50 mette su un’orchestrina per suonarle agli ‘sposalizi’, momento centrale della vita di ogni comunità nello sterminato Mezzogiorno d’Italia, avviando un’attività semiprofessionale. Poi, con il boom economico, questa attività subisce un rallentamento, scompare addirittura, per rinascere come momento di diletto nella piazza dell’ufficio postale. Musiche in qualche modo rituali, dunque, ma nella loro esecuzione esenti da ogni trattamento, da ogni personalismo, da ogni virtuosismo e suonate soprattutto per il piacere di divertirsi tra amici, quasi con la stessa logica di un tranquillo gioco a bocce. Ecco allora melodie originali fedelmente riprodotte, fraseggi stilizzati, ritmiche marcate, in un’assoluta indifferenza al fascino del jazz e delle musiche afroamericane (che pure erano già arrivate nel nostro paese) e con un’adesione viscerale, invece, per valzer, polke e quadriglie e con qualche concessione al tango, che pure del valzer fu il rovescio. E poi strumenti utilizzati in maniera ‘basica’, rudimentale direi, soprattutto quando arrivano le tastiere che fatalmente vanno a integrare l’organico tradizionale: di sicuro, infatti, qui non c’è nessuno sforzo per sfruttare le potenzialità (soprattutto timbriche) delle nuove tecnologie, proprio come avviene per le persone anziane che spesso si sono fermate al primo livello di un’innovazione tecnologica e se lo sono portato dietro per sempre: probabilmente è anche per questo che il suono delle prime tastiere elettroniche, le Elka, le Farfisa, è diventato costitutivo del sound del gruppo e da allora è rimasto lo stesso. E poi, non toglierebbe forse, l’eventuale ricerca, piacere al gioco? Non genererebbe ‘ansie da prestazione’ di originalità musicale?

Una musica “a bassa definizione”, insomma, con brani che se li dovesse proporre un qualsiasi gruppo urbano verrebbe naturale metterci quanto meno uno scarto ironico di qualsiasi tipo, tanto prevedibili sono le associazioni che essi ingenerano. Chi potrebbe suonare oggi, con la massima serietà, Espana Cani o Creola? Chi non vi coglierebbe un esotismo ormai d’altri tempi? E invece i suonatori della Banda della Posta lo fanno proprio con la massima serietà, “solenni e impassibili” come nota acutamente Vinicio nelle note di copertina del cd; perché non solo la solennità e l’impassibilità sono ovunque tratti stilistici fondanti dell’espressività popolare ma anche perché quello che per noi è esotismo, per le comunità povere degli anni ’50 fu l’immaginario: un immaginario di tale potenza evocativa da mantenersi intatto per i vecchi esecutori che, giustamente, lo sentono tuttora come proprio. E che forse possiamo cogliere anche noi se, liberi dal mito della novità a tutti i costi, mutiamo la qualità dello sguardo (pardon, dell’udito…) e lo riconosciamo, collocandolo nella storia delle comunità che lo hanno interiorizzato e vissuto.